Sono anni che tra i metodi che seguo con più interesse c’è il Polarizzato. Ammetto che il mio metodo ha una base orientata al polarizzato ma con delle varianti in base all’atleta che ho di fronte. Non credo che esista il metodo migliore per tutti, esiste sicuramente il metodo migliore per quell’ atleta. Fatta questa dovuta precisazione voglio testimoniare i pregi e difetti di questo metodo, sono esperienze ed opinioni personali dettate dalla pratica di anni su diversi atleti. In particolare Triathleti e Runner. Non voglio entrare molto nel tecnico del metodo perché credo che sia ormai risaputo di cosa stiamo parlando, in ogni caso ho scritto su un altro post che potete leggervi.
Iniziamo a dire che il metodo prevede un grande volume fatto al di sotto della 1^ soglia ventilatoria (80% circa), detta soglia aerobica e/o LT1. Viene determinata all’incirca intorno al 75-77% del battito massimo. Coincide con un ritmo molto basso, serve per allenare uno dei sistemi che intervengono nella performance degli sport di endurance, molto noioso (per me) e molto difficile da svolgersi, perché tutti tendono ad uscire verso l’alto da questa soglia. In contrapposizione si svolge una quantità di lavoro più piccola oltre la 2^ soglia ventilatoria, detta soglia anaerobica e/o LT2 (20% circa). Intensità molto alta che coincide con un battito sopra il 90% del battito massimo (personalmente dico >94%). Soglia molto intensa e che non tutti sono disposti a tenere a lungo perché molto faticoso, utile per allenare il secondo sistema utile per gli sport di endurance. Per l’insieme di tutti questi problemi tutti si standardizzano su una intensità media tra il 75% e il 90% del battito massimo, in questo modo si accumula una grande quantità di stress che allunga anche i tempi di recupero tra i vari esercizi senza sviluppare nessuno dei due sistemi utili. Direi che per comodità e/o incapacità tutti parlano di Polarizzato ma pochi lo fanno, tanto è vero che questo metodo parte dall’alto ed ora si sta cercando di riportare anche alla base, gli élite lo fanno in modo naturale senza saperlo quasi, noi tampascioni ci dobbiamo lavorare. Questo smorza la prima obiezione che mi è stata fatta, soprattutto da quella fascia di atleti detti elite e amatori evoluti, nella loro idea iniziale è che non va bene per chi gareggia per vincere ma è utile per chi vuole solo arrivare alla fine. Mi dispiace deludervi ma è esattamente il contrario, se non riuscite a raggiungere le zone di intensità che il polarizzato richiede, significa solo che non vi siete mai allenati alle intensità che fanno gli atleti che vincono le gare e non il contrario.
Questa è la teoria raccontata molto velocemente, se volete approfondire leggetevi il post che ho scritto sempre su questo blog, oppure alcuni lavori scientifici, in particolare quello svolto tempo fa da Marco Altini su un campione vastissimo preso dai dati di strava.
Ora entriamo nel merito del mio post, quali sono i pregi e difetti di questo metodo per chi si volesse avvicinare, sui pregi non mi dilungo, dico solo che tutti quelli che lo adottano migliorano. Per me basta questo senza farmi troppi problemi, secondo è che lo fanno senza troppi stress ed allenamenti logoranti, anche questo mi basterebbe per provarci. Bisogna focalizzare il nostro pensiero sui difetti, perché senza conoscerli e senza avere un modo per superarli fanno allontanare gli atleti da questo metodo, e come il lupo che non arriva all’uva la prima cosa che dicono è che non funziona.
Partiamo per gradi e cercherò di fare un ragionamento logico per farmi capire meglio possibile.
Partiamo da quella che viene definita la ripartizione corretta del metodo 80/20, non sarà mai possibile essere così netti nella realizzazione, ho visto molti che si fissano su queste percentuali e si distraggono sul vero obiettivo del metodo. Chi usa il cardio per valutare queste percentuali avrà una ripartizione vicina ad un metodo piramidale piuttosto che polarizzato. La deriva cardiaca non permette di passare da 120 a 190 battiti immediatamente e viceversa, ci sono tutte quelle zone di salita e discesa del battito che sono la parte predominante dell’allenamento. In particolare quando facciamo allenamenti intervallati ogni volta che ripartiamo non saremo mai scesi di colpo in una zona di recupero Z2 per esempio, così come nel periodo in cui tiriamo al massimo non saremo mai subito in Z5 per esempio ma passeremo da tutta la gamma dei range delle zone. Questo mette in confusione e dopo un po si rinuncia a seguire questo metodo. Un po più facile potrebbe essere se si usano i power meter perchè gli stessi ci permettono dalla prima pedalata o falcata di passare da 100 a 300 watt in un secondo e viceversa. Permettendo di avere un on/off più netto, però questo coincide con la individuazione dei giusti range da seguire, solo un tecnico preparato ed esperto può essere preciso o per lo meno molto vicino alla realtà. I parametri velocità e/o passo non li prendo in considerazione perché non ha senso se uno corre al di fuori della pista o velodromo. Basta un Sali scendi per far saltare il tutto.
Ora vediamo cosa significa correre un volume pari all’80% a bassa intensità. Questo è uno dei primi problemi, non riesco mai all’inizio del rapporto con un nuovo atleta a farli andare piano. Magari partono con i buoni propositi ma dopo un po si distraggono ed iniziano ad andare in quella zona di confort tra l’80% e 85% del battito massimo. Non riescono ad andare piano, molti credono anche che non sia utile allenarsi a queste intensità. Bisogna fare un grande lavoro di convincimento per farli andare piano. Invece è quella base aerobica che ci permette di migliorare la performance quando cerchiamo di andare la massimo, soprattutto in gara. Con questa intensità si creano quegli adattamenti come l’aumento del numero dei mitocondri, la capillarizzazione, diciamo che migliora il trasporto dei nutrimenti verso la periferia, li dove serve quando vogliamo fare la performance. Con una intensità superiore all’80% del battito massimo non avvengono.
Analizzando l’altro dato del 20% ad alta intensità possiamo fare un’altra valutazione ed è il motivo principale, secondo me, per cui un atleta si allontana dal polarizzato. Il 20% detto così sembra poco, nell’idea iniziale è che con questo metodo non ci si allena abbastanza duramente e quindi i miglioramenti non possono arrivare. Prendiamo un amatore medio che si allena 10 ora la settimana (senza entrare troppo nel merito, voglio far passare il concetto) il 20% è pari a 2 ore ad alta intensità. Inizio a farvi la prima domanda quanti fanno 2 ore di alta intensità alla settimana? Io ne ho visti pochissimi, quasi nessuno prima di passare a questo metodo. La realtà dei fatti è che è troppo difficile da farsi ed in molti rinunciano. 2 Ore di alta intensità, 90-95% del battito massimo, vuol dire fare 60 ripetizioni da 2 minuti. Se vogliamo entrare ancora più nel dettaglio fare 60 ripetizioni (esempio, potrebbero essere 120 da 1minuti o 40 da 3 minuti, etc.) ad un battito superiore a 162 per chi ha un massimo di 170, non so se riesco a rendere l’idea. Forse per avere un parametro più fruibile e chiaro a tutti. Mettiamo caso che un amatore (i miei dati in questo momento) ha un passo di soglia nella corsa di 4:28 dovrebbe passare 2 ore non più lenti di 4:20 per essere pessimisti, 3:50 nel caso migliore. Se corre con i watt ed ha una rFTPw di 238 dovrebbe correre 2 ore al di sopra di 250 watt. (Provateci) lo stesso si può dire in bici con una FTP di 200 watt deve andare per due ore al di sopra di 220 watt. (pazzesco) Spero di essere stato in grado di far capire quanto sia difficile fare “solo” il 20% ad alta intensità. Questo è possibile farlo solo se nell’80% degli altri allenamenti ci si allena in zona lenta, quella zona che ci permetta di non dare stress al corpo e renderlo pronto a raggiungere le intensità del 20%. Spero di essere stato chiaro.
La mia esperienza invece è che “tutti” dai tampascioni agli elite e amatori evoluti non sono mai riusciti ad arrivare a certe intensità. La maggior parte dei casi non riescono a far salire il battito più di tanto, non riescono a raggiungere certi ritmi. Si sono ormai bloccati sui medi oppure quella zona detta sweet spot etc. e quando devono spingere non ne sono più capaci. Basta vedere quanti corrono allo stesso ritmo sia su una 5km che su una 10km o mezza maratona. Oppure che pedalano (in questo caso ci includo anche il nuoto) sempre allo stesso ritmo per ore ma nel momento in cui devono cambiare ritmo vanno in crisi. Quando iniziano ad adottare questo metodo ed hanno un riscontro immediato sui battiti massimi sui valori di V02Max etc. però dopo un iniziale e breve periodo iniziano ad avere un calo dovuto al fatto che i loro sistemi non sono pronti al cambiamento, c’è bisogno di adattarsi, si sono fatti 20 anni di allenamenti di un certo tipo e dopo in 2 mesi vogliono cambiare tutto. Mi è capitato di perdere alcuni atleti perché sono scoppiati prima di arrivare al punto di rottura e si sono rifugiati nuovamente nello sweet spot che è rassicurante rinunciando al sogno di essere tra i primi nelle gare.
Cosa si potrebbe fare per migliorare questo passaggio (che ti ringrazieranno di averlo fatto per sempre), io ho individuato alcuni metodi e sistemi. Ovviamente ne dico alcuni perché gli altri sono troppo personalizzati e dipende dall’atleta che ho di fronte. Questi due modi sono abbastanza generici e possono utilizzarli tutti. Tutti i problemi descritti sopra sono riconducibili alla sensazione di fatica percepita dall’atleta (RPE ratings of perceived exertion). Mentalmente non siamo pronti a resistere alle nuove percezioni di fatica, questo ci porta a correre una corsa da lenta a moderata e da intensa a difficile. Ci posizioniamo sempre in una zona di confort che riconosciamo ed alla quale siamo abituati. Per cui all’inizio non fissatevi sui numeri ma cercate di far capire al vostro cervello che ci sono nuovi limiti che si possono raggiungere, una volta che la percezione è migliorata sia verso l’alto sia verso il basso iniziamo a dare attenzione ai numeri ed ai ritmi.
Con l’esperienza ho notato che (strano a credersi) è stato più facile far digerire i nuovi metodi ai triathleti che ai runner, ed ho capito che con i triathleti ho un grande alleato che sto cercando di trasportare anche tra i runner, La bicicletta. Molti runner ne fanno uso per recuperare dagli infortuni o da esercizi intensi o post gara, però il mio alleato lo uso in modo più attivo, lo uso per fare allenamenti veri e propri. Mi spiego, per prima cosa mi permette di fare un volume importante a bassa intensità facendo sentire una percezione più alta all’atleta della fatica di quanto farebbe correndo piano (ha la sensazione di essersi allenato), pedalare al disotto di 77% del battito massimo ci permette di avere comunque un allenamento impegnato e nello stesso tempo facciamo volume a bassa intensità. In oltre ho notato che chi si allena in bici puntando al focus della frequenza alta della pedalata ha dei miglioramenti anche nella corsa perché migliora l’efficienza della falcata.
Per questo motivo che nella mia preparazione di un triatleta sfrutto molto la bici verso l’80% del polarizzato e la corsa per il 20% dello stesso metodo. Ovviamente sono numeri variabili in base alla stagione ed all’atleta che ho di fronte.
Questa è la mia esperienza e confermo che non esiste il metodo migliore ma il migliore per ognuno di noi, solo un trainer preparato ed esperto vi può aiutare a trovare quello cha fa per te, spero però che se decidi si fare il fai da te queste informazioni ti possano essere utili.
Vito Nacci
Endurance Trainer